L'OMBRA BIANCA

Nobuya Abe . Počitelj (Bosnia-Erzegovina) 1965 cc.
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 9 dicembre 2014
OÙ NOUS SOMMES EN HIVER
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Guarda un oggetto.
Per vederlo realmente per ciò che è, si devono raccogliere e connettere tutte le proprie esperienze. Bisogna anche vedere con la freschezza dello sguardo del bambino, riportare la cosa alla sensazione iniziale - come se non l'avessimo mai vista prima.
Così l'atto psicologico di vedere si combina con il processo intellettuale di comprensione per fornirci la conoscenza di una cosa vista.
Dalla teoria di "deplacement" di André Breton deriva il "punto girevole" della nostra percezione.
Un oggetto visto non è mai isolato, ma in un contesto temporale spaziale.
Qual è il contesto di un oggetto?
Cos'è l'oggetto di un oggetto?
Guardando, un artista deve sempre scoprire la storia della forma di un oggetto: da dove è venuto, e di cosa fa parte?
Su queste domande si deve basare la sua ipotesi e determinare la sua direzione, proprio come fosse un viaggiatore nella notte buia.

Un soggiorno trascorso tra settembre e novembre in una colonia di artisti a Počitelj, mi ha fornito un nuovo modo di avvicinarmi alla vita. E non è dipeso soltanto dal fatto di stare in questo particolare villaggio abitato solo da islamici, eretto sul pendio di una montagna scoscesa e grigia, e neppure per la bellezza che lo circondava, se la mia mente ha subìto un processo di chiarificazione.
Prima di allora avevo fatto diversi viaggi nei paesi islamici dell'Asia centrale, e avevo visto anche un certo numero di villaggi primitivi o spopolati durante il mio soggiorno nella Mongolia centrale. Ed ogni volta la mia esperienza mi aveva aiutato a trovare un mio posto per inserirmi nella vita del villaggio.
La freschezza della visione inizia sempre dal fondamento di una esperienza storica personale.
Moholy Nagy diceva che la fotografia dovrebbe portare una visione nuova ed una nuova esperienza a coloro che prima non avevano mai visto.

Počitelj non era la mia prima visita in Bosnia-Erzegovina.
Nel 1958 ero stato in questi posti per studiare le lapidi Bogumil.
A quel tempo il Museo di Sarajevo mi aveva aiutato nei miei studi e nella realizzazione di fotografie e rilievi dei vari reperti archeologici. Le lapidi jugoslave furono poi esposte in una mostra a Tokyo, e nel 1961 anche alla Galleria Contemporaries di New York.
Per questo devo un particolare ringraziamento a Miss Nada Miletic del settore archeologico del Museo.

Come artista non ho alcun interesse di dipingere dalla natura: il mio interesse è nel controllo del paesaggio interiore.
A Počitelj ero sorpreso di vedere le foglie gialle degli alberi di melograno diventare ogni giorno che passava di un giallo sempre più intenso.
Ogni mattina, al canto del gallo, potevo vedere il sole che sorgeva come fosse vicinissimo a me.
Io avevo dimenticato questi fenomeni, perché ero stato sempre un ragazzo della città di Tokyo.
Qu ero sveglio alle sette del mattino.
Dalla mia finestra potevo vedere la riva opposta della Neretva, rocciosa e degradante dolcemente verso l'acqua.
La nebbia offuscava l'acqua riversando la sua luce riflessa sul giallo dei melograni selvatici.
Ho avuto la sensazione come se la fine delle cose viventi avveniva perchè subiscono lo splendore della luce.
Come si potrebbe raffigurare su una tela da pittore questa idea di "forte luce sul finire della vita"?
Non c'era bisogno di un potere più grande di quello degli uomini?
E anche se si ottenesse un risultato, sarebbe nient'altro che la copia del corpo di un fenomeno.
E non è questo vano tentativo di copiatura di un fenomeno naturale a mantenere l'uomo nel ruolo di uno spettatore rimosso dalla vita e distante dalla società?
Ma questo è il passato e appartiene alla storia.
Ora dobbiamo impegnarci per la realtà della vita, non nell'esecuzione di una sua copia, ma nella creazione del fenomeno stesso della vita.

I miei occhi, stanchi dopo molte ore di lavoro, seguendo le morbide curve del fiume Neretva o la macchia gialla degli alberi, trovavano riposo e si riempivano di un piacere visivo carico di vibrazioni simboliche .
In basso vedevo la distesa dei tetti del villaggio, con tutte le cupole delle cucine mussulmane foderate di piombo e sormontate da una mezzaluna.
Accanto all'edificio che ospitava la nostra colonia c'era una moschea con un minareto i cui bassorilievi avevano stimolato un dialogo visivo interiore. Mifacevano pensare alle forme elementari della Secessione, ma soprattutto riflettevo su come la sola sezione di un oggetto tridimensionale sia capace di suggerire la forma completa e la struttura invisibile di quell'oggetto reale da cui si è separata.
Questo è ciò che io chiamo "ombra bianca", il mio socio invisibile, la sua ombra a me sconosciuta; ma è anche quell'uomo dimenticato che sedeva sui gradini di pietra ad Hiroshima al momento dell'esplosione atomica: di lui rimane solo l'impronta della sua ombra, profondamente incisa nel muro.

È possibile ritrovare l'ombra bianca in Assisi. Nella chiesa inferiore della Basilica di San Francesco, dove ho visto l'ombra di un cavallo bianco. Con il tempo e l'umidità i colori dell'affreso sono completa-mente scomparsi. Rimane l'impronta bianca del cavallo, l'ombra della forma che aveva avuto il cavallo dipinto.
Analoghi resti di "
ombre bianche" di figure umane le ho incontrate spesso in molte altre città d'Italia.
Il trascorrere del tempo, breve o lungo che sia stato,
ha prodotto queste ombre come fossero fette di cadaveri umani.
Ogni volta che vedo queste ombre, mi vengono i brividi.

L'Industrial Science Museum di Chicago ha esposto una serie di simili figure sezionando appunto un intero corpo umano e sistemando le sezioni sottovetro tra due fogli di plastica trasparenti.
E' uno dei tanti fatti inquietanti e significativi dello stato della civiltà contemporanea, nellaquale si agisce esattamente come le ombre di sconosciuti le cui identità sono tuttavia depositati in armadi.
Mi viene in mente la vecchia storia dell'uomo che vende la sua ombra al Diavolo.
Ma anche in molte opere d'arte contemporanea sembra esservi l'idea della sezione come ombra di un corpo.

Ad esempio, negli ultimi lavori del del suo periodo delle "nature", Lucio Fontana intendeva realizzare forme proprio a partire da quest'idea. Egli faceva a fette la natura stessa per esporre sezioni dello spazio. All'uomo che, come nel noto racconto, è condannato a vivere senza la propria ombra, le opere di Fontana resituiscono questo attributo natu-rale, e lo liberano. Era dunque quest'ombra mancante la ragione della sua inquietudune?
Nel 1913, Marcel Duchamp, nella suo grande pannello in vetro, ci mostra anch'egli il procedimento di un sezionamento.
Francis Picabia nel 1928 ha fatto un'opera senza titolo che mostra l'ombra che fugge da una figura umana puramente lineare.
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al 1916 in poi, Jean Arp ha costantemente tagliato in sezioni delle forme per poi dipingerle sul piano.
Le opere di Morandi e de Chirico danno spesso un effetto di "ombra bianca" - senza dubbio ispirato ai colori evanescenti e mutevoli degli affreschi del primo Rinascimento.
Questi incontri inaspettati, simboli della nostra civiltà, sono di ispirazione per gli artisti impegnati nel compito, delicato e primario, di raffigurare la luce come "ombra bianca" dalla loro esperienza visiva. 

Quel giorno, nella tranquillità di Počitelj, erano stati questi i miei pensieri.
Dobbiamo tornare ad interessarci con impegno all'elemento umano della società. In nome della civiltà stiamo perdendo la nostra personalità umana e il nostro spirito di fratellanza.
E' stato proprio nel villaggio di Počitelj, dove questo contrasto era così forte, che la mia mente si è soffermata sulle cose che la vita moderna ha sacrificato in nome della sicurezza e delle "comodità".

(Nobuya Abe)
E' una lettera autografa manoscritta dal pittore giapponese Nobuya Abe (1913-1971). Nella trascrizione dall'originale in lingua inglese siamo certi che si siano verificati parecchi errori, e non solo di trascrizione. Noi abbiamo tentato di tradurla sommariamente per carpirne il senso e dargli una forma più o meno accettabile. Saremo felici di ricevere dalla Rete una traduzione più conforme al testo inglese messo a disposizione qui di seguito.

Look on at abject.
To see it with understanding, one must bring to it whole of one's connections experiences. One must also see with the freshness of the child's eye, And bring to the thing seen a sence of beginning – making it the thing never seen before. That combine the psychological act of seeing with the intellectual process of understanding in the knowledge of a thing seen.
From Andre Breton's theory of  “deplacement” has come the “ tourning point “ of our perception.
An object is seen, not isolated , but in a spatial, temporal context. What is the context of an object? What in fact is the object of an object?
In looking, an artist must always discover the history of an object's form, where it has come from,  and to what it does belong? 
Upon this he must base his hypothesis and determine its direction, just as a traveller night.
A week of my stay in Počitelj artist colony  from the end of September to the beginning of November / gave me a fresh approach of life as I have intimated . This is not to stay that this single extinct  village of the Islamic people  alone, which stands on the slope of a craggy and grey mountain, not that the  surrounding beauty , only caused my mind to go through the process of clarification.
Before this instance I had made several trips Islamic country in middle asia, and I had also seen a number of late or extinct villages  during my stay in inner Mongolia. But each time my experience  had found its locus in an element village as village.
The freshness of vision always starts from the groundwork of a personal historical experience.
Moholy Nagy used to say that fotografy should bring new vision while it brings  a new experience to those who had never seen the thing before.
Počitelj was not my first visit to Bosnia and Hercegovina. 1958 I had been  to both places to study Bogumil tombstones. At that time the  Museum of Sarajevo had assisted me in my studies and in the making of fotografs and rubbing from the various remains, which later led to one exhibition of Yugoslavian tombstones in Tokyo, and , in 1961   at the Contemporaries Gallery of New York City. For this I owe a special of gratitude  to Miss Nada Miletic of the  archeological sector of Museum.
As an artist I have no interest to sketch  from nature, my interest lies in the inspection of the inner landscape. But seeing the yellow leaves  of pomegranate trees becoming a deeper yellow day by day, surprised me. With the crowing  of the cock, each morning, iI could see the sun rising very close to me.I had forgotten this process, for I had been to long a city boy in Tokyo. Here I was up at seven  o'clock.
From my window I could  see the opposite bank of the Neretva rocky and gently sloping towards the water. The  mist would cover the water showered its light on the yellow of the wild pomegranate trees. It made me feel as if the end of living things were assuming that shining light. How could one possibly portray on canvas this idea of  “ the strong light on ending life"?
Wasn't there needed some power greater than that of man's ? And even if one tried  the result  would be the copy of the corpse  of a phenomenon. And isn't it precisely such vain attempts at copying natural phenomenon that keep the man in the role  of a spectator removed from life and distant from society. But this is the past and already history.
Now we must strive for the reality of life, not in making a copy but in creating the phenomenon itself.
The soft movement of the Neretva river and the yellow group of a trees offered visual comfort and a sense of symbolic feeling of my tired eyes  after several hours work. Below me was a domed roof of the muslim kitchen, each covered with lead and topped by a crescent.
Next to the Colony was a mosque and minaret, and with bas relief on that minaret began a visual dialogue within me.  I was thinking of the elementary form  of Secession and especially how a section of a three, dimensional object , removed from the object, again suggested the complete form, the structure unseen.
This is what I call “ white shadow “ my unseen associate, his shadow unknown to me, but it is the same as the man`s who sat on the stone steps  of Hiroshima the moment the atomic blast sent him to oblivion.  What remained was a bas relief of a shadow.
You can again find the white shadow in Assisi.  In the lower church of Basilica of St. Francesco I have seen  a white shadow of a horse.  With time and dampness  the frescos colors have completely disappeared.  What remains  in the horse's white shadow, following the outline of what had been the painted horse.
I have found a similar residue of the white shadow of human figures in a number of other cities in Italy.
The working of time, either momentary, or long and slow , has caused shadows slices of former beings. Each time I see this things, I shudder.
The Industrial science Museum in Chicago has on display a number of Negro figures similarly sectioned- a slice has been removed from  the center of the body and is kept between glass of transparent plastic sheets.  These  are disturbing and vivid statements of the state of the contemporary civilization, and they to act exactly  like the shadows of unknown persons whose identities are filed in cabinets.
I am also reminded of the old story about the man who sells his shadow to the Devil.
Similarly many contemporary works of art suggest the idea of shadow an section.
Fontana`s last work, for example, the so  “agricultural period“ , was an embodiment of this idea. He sliced nature itself, to expose sections of space.
And in the same way as the man in the old story came to realize his existence after having lost his shadow, so the works of Fontana provoke a similar realization  as the human and natural  elements extinguish themselves. Was the key of his existence in his shadow than?
In 1913, Marcel Duchamp, in his large glass panel, likewise  shows us a slicing  process.
Francis Picabia in 1928  made a work untitled “ shadow”  which shows the shadow  itself  escaping from a linear human figure.
From 1916 on,  Jean Arp has steadily cut out sections of figures which he again painted on panels.
Morandi and de Chirico in the works have the effect  of the white shadow – no doubt inspired by the fading and changing colors of early renaissance frescoes.
These unexpected encounters , symbolic of our civilization, serve as inspiration to those artists engaged in the delicate and primary task of drawing forth of the equivalent of the white shadow from their visual experience.
These were my thoughts that day in the peacefulness of Počitelj.
We must once again become concerned with the engagement of the human element in society.  In the name of civilization we are losing our human personalities and our sense of brotherhood.
It was in Počitelj, where this contrast was so strong, that my mind dwelt upon the losses  in modern life – sacrifices made in the name of security and comfort.

(Nobuya Abe)
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